Patrizio Pelizzi: per sempre grato al maestro Pupi Avati
Un’intervista all’attore italiano Patrizio Pelizzi, che ci racconta della sua ultima esperienza cinematografica per “L’Orto Americano”.
Innamoratissimo del suo mestiere l’attore Patrizio Pelizzi e da sempre grato al maestro Pupi Avati con cui ha avuto il piacere di condividere svariate esperienze, al di là dell’ultimo progetto, “L’orto americano”. Un incontro piacevole quello avuto con lui, un bisogno forte e sincero nel voler realizzare un libro, qualcosa che parli della sua amata nonna, una guerriera, una donna d’altri tempi…
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Patrizio Pelizzi. Presente nell’ultimo progetto cinematografico di Pupi Avati, “L’orto americano”, cosa puoi dirci a riguardo?
Sono circa venticinque anni che collaboro con il maestro Pupi Avati, un uomo a cui devo tanto, un regista più che abile. Si tratta di un horror, un progetto di cui, ovviamente, non posso anticiparvi molto ma di certo posso dirvi che in questo ultimo lavoro c’è molta umanità. Di bello c’è anche che avrete modo di ritrovare il bianco e nero, uno stile alla Hitchcock e Robert Siodmak, tra dramma, pathos, inquietudine, amore e molta giurisprudenza.
Quali consensi ti auguri di poter ottenere con questo progetto?
Vivo questo mestiere da ben trent’anni e ciò che posso augurarmi, al momento, è di poter continuare ad affrontare ruoli, progetti, che possano riscontrare il successo che meritano. Lo stesso vale per Avati, una persona a cui devo molto, un uomo che ha messo sempre il cuore in ogni suo progetto, accompagnato dalle grandi capacità e serietà che da sempre lo contraddistinguono.
Cosa sta regalandoti questo percorso?
Il rispetto di me stesso e del prossimo, il tutto annesso all’umiltà. Viviamo un mestiere che ci regala tanto ma al contempo può anche toglierci quel tanto. Ogni percorso ha il suo cammino e posso assicurarti che è spesso molto tortuoso ed è di per sé complicato poter vivere soltanto di arte. Lo abbiamo visto durante il periodo della pandemia, in cui eravamo persi, relegati in casa senza sapere cosa ne sarebbe stato di noi. L’arte, in quel frangente, ha di certo dato una valida speranza a tutti noi.
Quale sogno, ad oggi, è ancora chiuso nel cassetto?
Ce ne sono ancora tanti di sogni chiusi nel cassetto. Siamo continuamente alla prova con la qualsiasi ed è di certo fondamentale poter rispettare alcune regole. Mi piacerebbe interpretare, portare in scena, alcuni progetti chiusi nel cassetto, tra questi una sceneggiatura e a breve scriverò anche un libro. Ho perso da poco mia nonna, una donna che ha vissuto tanto, e vorrei poter parlare di lei, del suo percorso, delle sue origini, l’Abruzzo.
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Che periodo stai vivendo?
Un periodo di riflessione, sicuramente! Sono felice del mio percorso da attore ed anche del percorso di scrittura. Fondamentale è non dimenticare lo studio, il prossimo, se stessi.
Progetti che bollono in pentola?
A marzo sarò giurato per un Premio Letterario al Teatro Ghione, insieme a tantissimi colleghi artisti, ideato e condotto dal Dott. Roberto Sarra. Di altro non posso ancora parlare ma di certo lo faremo prossimamente, con grande piacere.