Ulderico Pesce: in scena per non dimenticare
Uno spettacolo dedicato ad Elisa Claps quello che vedremo in scena con Ulderico Pesce e che ci racconta il perché della sua scelta.
Dal 10 novembre l’attore e regista Ulderico Pesce sarà in scena con “I sandali di Elisa Claps”. Lo incontriamo perché pronto a raccontarci di come ha avuto origine questo progetto, del suo percorso artistico, del futuro.
Benvenuto su La Gazzetta dello Spettacolo, Ulderico Pesce. Il 10 novembre sarai in scena ne “I sandali di Elisa Claps”, un progetto a cui tieni particolarmente, da te realizzato, previsto al Teatro di Villa Lazzaroni. Quali anticipazioni a riguardo e come ha preso forma il tutto?
Due sono i motivi che mi hanno spinto a costruire questo progetto. Innanzitutto la storia di Elisa Claps non è solo una storia di un tremendo e macabro femminicidio. Elisa fu violentata e uccisa nella chiesa della Trinità di Potenza il 12 marzo del 1993 e questo è il femminicidio orrendo. Ma non finisce qui perché il corpo di Elisa è stato nascosto in quella stessa chiesa per 17 lunghi anni. Quindi parliamo di complici che in qualche modo fanno parte del mondo della chiesa di Potenza. Un cadavere non resta in un luogo per 17 anni senza la complicità del proprietario del luogo. Ma non finisce qui. La magistratura di Potenza del 1993 avrebbe dovuto sequestrare immediatamente i vestiti di Danilo Restivo, subito sospettato dell’assassinio, avrebbe dovuto sequestrare i tabulati telefonici della famiglia Restivo e invece nulla di tutto questo. Quindi la storia di un violento femminicidio si arricchisce di un contorno che fa comprendere l’esistenza di un’Italia corrotta e massonica. Il secondo motivo che mi hanno fatto nascere il desiderio di portare in scena questa storia è il personaggio di Antonio, padre di Elisa. L’ho scoperto grazie ai racconti di Gildo, fratello di Elisa, e della mamma Filomena. Antonio è un tabaccaio ma lavora anche come vigilante notturno in una fabbrica. Capisce subito che è stato Danilo Restivo a far sparire Elisa pertanto vuole andare a casa dell’assassino a farsi giustizia da solo. La famiglia glielo impedisce. Allora sceglie il silenzio. Da quel momento soffrirà in silenzio. Cercherà Elisa nelle rose profumate della figlia, nei canti di Elisa. Poi arriverà la malattia del cuore e poi un timore che lui affronterà con felicità perché è felice di ricongiungersi con la figlia e di vivere con lei in eterno lontani dalla cattiveria del mondo.
Le tavole del palcoscenico regalano da sempre buone sensazioni, grande energia, emozione pura. Quali rituali prima di essere in scena e cosa ti trasmette il pubblico presente in sala?
Da giovane frequentai la Scuola teatrale russa, strutturata sul recupero delle emozioni. Il fine per me rimane sempre lo stesso: bloccare qualsiasi artificio, lavorare a proteggere le emozioni. Rispetto al teatro italiano mi sono sempre sentito un pesce fuor d’acqua. In Italia si lavora da decenni a creare artifici, si fa a gara a chi li inventa più intelligenti. Ho lavorato e continuo a lavorare in un altro modo. L’artificio serve solo per intrappolarsi al fine di far nascere verità. Un’ora prima di entrare in scena mi preparo. Mi concentro rispetto al percorso emotivo da compiere. Poi salgo sulla barca ed entro in scena. Il pubblico è su un’altra barca. In scena, quando si realizza l’intesa, la barca diventa una sola, e il pubblico diventa un organismo vivente compatto, che non è fuori di te. In scena si realizza un trasbordo. Si passa tutti assieme in una sola barca. Non ci sono differenze. Si abbatte l’io e il tu. E il viaggio diventa bellissimo.
Da sempre regista e attore, quali consapevolezze hai acquisito con il passare degli anni, con l’esperienza, e cosa ti auguri di poter realizzare in futuro?
Dal 1986 che ho cominciato a lavorare ho acquisito certamente delle esperienze ma davanti a un nuovo progetto provo sempre la stessa paura. L’esperienza conta pochissimo. Non è un salvagente. Mi chiedi cosa mi aspetto per il futuro? Non ho l’idea del futuro. Faccio la vita di un’ape che vola sui campi. Se continuo a trovare gli stessi buoni e bei fiori su cui mi sono posato in questi anni va già bene. Mi auguro di non perdere l’agilità del volo e di trovare fiori sempre disponibili.
Chi è oggi Ulderico Pesce, come ti descriveresti?
Descriverei il tutto come un’ape bisognosa di fiori. Un’ape che produce un miele biologico. Poche quantità ma sento che è buono. E sento che questo miele non si vende in un supermercato di un grande centro urbano, ma in una piccolissima bottega tra la montagna e il mare.